In Afghanistan un medico uomo non può
visitare una donna, guardare il suo volto, una parte del suo corpo. Non
può neanche rivolgerle la parola, tanto è vero che nel film “Viaggio a
Kandahar” di Mohsen Makhmalbaf il dottore, per cercare di aiutare una
malata, deve rivolgere la parola al bambino che l’accompagna mentre lei,
da dietro una tenda, cerca di rispondere al meglio sperando che venga
trovato un rimedio al suo malanno.
La realtà, soprattutto in alcune province al confine con il Pakistan,
è ancora quella descritta dal film del 2001. Al confine con l’Iran,
nella provincia di Herat, da un po’ di tempo invece le cose hanno
cominciato a cambiare. Le resistenze dei mariti a consentire che un uomo
visiti la propria moglie sono state vinte grazie a una attività volta a
diffondere una nuova cultura, capace di mettere in primo piano il
valore della salute rispetto a quello del rispetto delle norme religiose
lette in chiave fondamentalista.
L’attività è condotta dal Fet (Female Engagement Team), gruppo di
donne militari che fa capo al Prt (Provincial reconstruction team) delle
Forze armate italiane di stanza a Herat. Donne che aiutano altre donne a
uscire dall’isolamento, con lo scopo di migliorare la loro condizione
di vita. Dopo un corso che si svolge al 28° Reggimento “Pavia” di
Pesaro, queste ragazze entrano a far parte del gruppo che, come era
avvenuto nel caso dei Balcani, del Libano e della Somalia, opera nelle
città e nei villaggi garantendo check-up medici e consulenze su igiene
personale, maternità e cura dei figli.
“Non è ancora facile rapportarsi con la componente maschile delle
famiglie. Il senso dell’onore frena molto, ma negli ultimi mesi abbiamo
avuto la soddisfazione di vedere mariti che, senza essere più spronati
da noi come in passato, portano le loro mogli dai nostri medici, nelle
nostre basi militari, con il desiderio di farle guarire e stare bene”,
spiega la psicologa di contingente, il tenente Lucia Grasso. Segno che
la mentalità comincia a cambiare, che l’opera di informazione e
disseminazione di notizie su salute, cura e cultura compiuta negli anni
ha avuto i suoi frutti.
La violenza e i maltrattamenti in famiglia, tuttavia, restano una
realtà. Un episodio specifico lo racconta, riporta ancora la psicologa
di Herat. “Siamo dovuti intervenire per aiutare le figlie di una donna
maltrattata. Il marito, ritenendo che lei gli avesse disobbedito, le
aveva amputato il naso”. Lo sfregio fisico rimane dunque uno dei metodi
preferiti da alcuni uomini per mortificare la bellezza e la personalità
delle donne, per esercitare su di loro un subdolo potere.
Tuttavia, a sentire il tenente Grasso, la capacità di resilienza
delle donne afghane, la loro volontà di uscire da simili situazioni, è
difficile da scalfire. “Abbiamo incontrato le 4 figlie della donna
sfigurata, per dare loro un sostegno morale. Una delle bambine, la più
grande, ha 10 anni, che in Afghanistan significa essere già adulta. Ci
ha parlato della sua volontà di vivere in un posto in cui nulla di tutto
questo accada più, di battersi per i suoi diritti”.
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