lunedì 12 settembre 2016

Apostrofi, accenti e pronomi: gli errori grammaticali più comuni sui social network

Sul web la comunicazione è sempre più veloce e a volte lo strafalcione scappa. Eccone alcuni dei più comuni che si trovano in Rete

Velocità a scapito della grammatica

Emoticon, abbreviazioni, immagini: sul web la comunicazione si sta trasformando sempre più, aggiungendo neologismi, decorando i testi con faccine che riproducono le nostre emozioni, sfruttando la punteggiatura. La parola scritta viene investita dalla caratteristica principe di internet - la velocità - e sopravvive. Con qualche acciacco. Sui social è facile trovare tipici - e immortali - errori grammaticali. Che non sono nati con il web, ma hanno sempre accompagnato la lingua italiana. Dal foglio di carta si spostano su post e commenti. Tra apostrofi che diventano virgole, parole storpiate o utilizzi impropri di pronomi e avverbi, ecco gli strafalcioni più comuni che appaiono sulle bacheche di Facebook o Twitter.

Apostrofi creativi

Di solito viene utilizzato per elidere la fine di una parola - spesso una vocale - ma, se si parla di troncamento, non è necessario. E qui cadono in molti: l’esempio principe è «qual è», con accento sulla «e» ma rigorosamente senza nessun altro simbolo. Mentre se «un poco» diventa «un po’», l’apostrofo è indispensabile.
Un’altra parola che spesso viene scritta nel modo sbagliato è «d’accordo» (serve l’apostrofo, non va tutto attaccato). Nessun segno grafico invece in «dappertutto». L’apostrofo viene utilizzato con gli articoli indeterminativi seguiti da parole femminili (un’amica), ma mai con quelle maschili (un amico). E spesso - nei social come sulla carta - la regola genera confusione. E quindi errori. Uno che si trova spesso è «qualcun’altro» (maschile). Niente simboli, basta lo spazio.

L'uso delle Virgole

Le virgole sono fondamentali per dare un’intonazione al discorso scritto. Su Facebook - per velocità - o su Twitter - per risparmiare caratteri - spesso se ne fa a meno. E si rischia di incappare in una serie di ambiguità tutte da ridere. Grandi protagoniste della famosa «ironia da social».
«Vado a mangiare nonna» ha un significato ben diverso da «Vado a mangiare, nonna». L’esempio è stato pubblicato sulle bacheche di tanti fedelissimi della virgola al grido di «Usa la punteggiatura, salva tua nonna». E mai metterla a separare il soggetto e il verbo di una frase. Il grande sconosciuto rimane però il punto e virgola: né carne né pesce, il segno di interpunzione è sempre più raro. Un po’ più forte della virgola, un po’ meno del punto, è sicuramente da trattare con cura. Separa due proposizioni coordinate e si rivela piuttosto utile nei periodi molto lunghi. Non molto usati sul web, in effetti.

Accenti, questi sconosciuti

Errori molto comuni, soprattutto quando si scrive in fretta sulla tastiera del pc o dello smartphone, riguardano il grande universo degli accenti. Un trucco per ricordarsi la differenza tra grave e acuto è immaginarsi il piccolo simbolo come una porta che si apre (acuto) o che si chiude (grave). Molto più usato quest’ultimo, ci sono alcune parole che invece necessitano del primo: come «perché», «poiché» o «affinché» (quest’ultimo - da ricordare - va insieme a un congiuntivo).
Poi ci sono i monosillabi. E lì, la differenza di significato la fa proprio la presenza dell’accento. «Si» è riflessivo, mentre «Sì» è l’affermazione. «Da» è una preposizione, ma «Dà» è un verbo. «Li» è come dire «gli», invece «Lì» si usa per indicare un punto lontano. «Se» è ipotetico, diverso da «Sé» riflessivo (che però perde l’accento se seguito da «stesso» o «medesimo». «Ne» è un avverbio di luogo, da non confondere con «Né» (accento acuto) che si usa per coordinare due elementi negativi. Un esempio? Né «qui» né «qua» reggono l’accento. Stessa regola per «va», «fa» o «sta». 

I puntini sono tre...

Non sono due, non arrivano a quattro. I puntini di sospensione sono - sempre e comunque - tre. Il sistema di punteggiatura serve per segnalare una sospensione del discorso, per alludere a qualcosa o semplicemente per imbarazzo o titubanza. Spesso se ne abusa negli sms, su Whatsapp o su Facebook.
Altra regola che genera confusione è quella che governa gli spazi. Non prima - ma dopo - virgole o punti. E se si inserisce una parentesi, l’azione precedente - e non successiva -dev’essere una battuta sulla barra spaziatrice. Stessa cosa quando la si chiude: ultima parola - parentesi - punto - spazio.

L'unione non fa la forza

Due parole che dovrebbero stare separate, molto spesso vengono attaccate. Per fretta, mancanza di spazio o semplice errore grammaticale, ormai sono quasi entrate nell’uso comune. Soprattutto sul web. Ma non sono corrette. Qualche esempio?
«Tutto apposto» (ma è giusto scrivere «apposta»), «affianco» (da non correggere solo se si sta usando la prima persone singolare del verbo affiancare), «apparte tutto» o «eppoi» (accettato in un linguaggio letterario o arcaico, non proprio quello dei social». Al contrario, «stasera» va tutto attaccato.

Due "c" e una "l"

Doppie che si scambiano, si confondono e - soprattutto - si sbagliano. La parola «accelerare» è una di quelle più spesso scritte in modo scorretto. Le «C» sono due, mentre la «L» è solo una.

Il difficile mondo dei pronomi relativi

 L’uso dei pronomi relativi spesso è confuso. Soprattutto del «che» - si infila un po’ dappertutto - e del «cui». Quest’ultimo sostituisce un complemento e dovrebbe essere sempre preceduto da preposizione. Non è un soggetto né un complemento oggetto. Nel dubbio, se si può mettere «cui», di sicuro è scorretto utilizzare «che».
Proprio il «che» è un pronome che si può definire «pigliatutto», ma in realtà le sue funzioni si limitano a soggetto e complemento oggetto. Mentre, soprattutto nei dialoghi - e quindi anche nella comunicazione informale tipica del web - si sfrutta appena se ne ha l’occasione. 

Parole storpiate

Da plurali bizzarri e lettere scambiate fino a congiuntivi improbabili. Sono state le parole storpiate che si trovano sul web. Oltre ai classici «ha» (verbo avere) senz’acca o «anno» (nel senso di periodo di tempo) con, altri esempi sono «psicologhi» (l’acca sempre protagonista ma non ci dovrebbe essere) o «chirurghi» (stesso problema).
Poi ci sono i «dasse» e «stasse» (la seconda lettera dovrebbe essere una «e»), e a volta a qualcuno scappa un «pultroppo» (servirebbe una «r» al posto della «l») o un propio (manca una «r»). 


Meglio la "C" o la "Q"?

Un grande classico sono gli errori che coinvolgono la lettera più rara dell’alfabeto italiano, la «q». Che spesso si aggiunge dove non ci vuole. Per esempio si dice «evacuare», «proficuo» e «scuola».

"Gli" non é uguale a "Le"

In molti utilizzano il pronome personale «gli» - che si mette al posto di «a lui» quando si parla al maschile - con il corrispettivo femminile «le», ovvero «a lei». Mentre se seguiti da «lo, la li, le o ne» per entrambi i generi è corretto unirli in una parola unica con «gli».

Le ridondanze

Non sono ripetizioni, ma ridondanze, cioè eccessivo - e non necessario - accumulo di parole diverse ma con lo stesso significato. Sono errori molto comuni, e per alcuni, particolarmente fastidiosi tra cui «Ma però» o «a me mi».


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