Sono stati condannati a 7 anni di carcere Cosimo Tropeano e Donato
Melella, due poliziotti arrestati nel dicembre 2015 per aver spartito
con una banda di rom il bottino di una serie di furti ai danni di
passeggeri alla stazione Centrale di Milano. Lo ha deciso il Tribunale
milanese che ha dichiarato «estinto il loro rapporto con la pubblica
amministrazione di riferimento». I due, accusati di concussione e
ricettazione, secondo l’accusa, avrebbero anche chiesto denaro a donne
nomadi con la minaccia di togliere loro i figli.
I giudici della
quarta sezione penale (Magi-Guadagnino-Amicone), oltre ad accogliere le
richieste di condanna del pm Letizia Mannella, hanno anche dichiarato i
due agenti – che erano già stati sospesi dal servizio dalla Questura
dopo che erano finiti agli arresti domiciliari – interdetti in perpetuo
dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la durata
della pena. Il Tribunale ha anche stabilito a loro carico la confisca di
1500 euro ciascuno (la cifra che si sarebbero intascati) e ha trasmesso
gli atti relativi a due episodi dell’ottobre 2014 e del maggio 2015
affinché la Procura valuti eventuali nuove contestazioni a loro carico
(motivazioni della sentenza tra 60 giorni). «Se non ci date quello che
avete preso, vi togliamo i bambini e vi facciamo arrestare», avrebbero
detto i due agenti, stando a quanto risultava dai racconti messi a
verbale da alcune rom nell’inchiesta, coordinata all’epoca dal pm
Antonio D’Alessio, che aveva portato in carcere anche 23 nomadi di
origine serbo-bosniaca, tra cui molte donne, accusati di associazione
per delinquere finalizzata ad una serie di furti. Indagini, condotte
dalla polizia ferroviaria e dalla Squadra Mobile di Milano, che erano
nate proprio da denunce di donne rom che hanno parlato sia delle
«imposte» o «gabelle» sui proventi dei furti che i capi
dell’associazione richiedevano, che dei «soprusi» dei due poliziotti. Il
gruppo di nomadi riusciva ad incassare tra i 5mila e i 20mila euro a
settimana rubando portafogli, orologi e gioielli a facoltosi turisti di
passaggio alla stazione, soprattutto giapponesi, americani o di origine
araba, anche con la scusa di aiutarli all’interno dei treni, lungo i
binari e sui tapis roulant della stazione. E per chiudere un occhio i
due poliziotti, Tropeano e Melella (quest’ultimo definito «il cowboy»
dalle rom intercettate), che erano in servizio alla sezione di contrasto
ai crimini diffusi della Squadra Mobile, avrebbero chiesto e ottenuto
soldi, come documentato anche dai filmati delle telecamere di
sorveglianza. Nell’ordinanza d’arresto il gip Giuseppe Vanore scriveva
che i due anche «fuori dall’orario di servizio» avrebbero proseguito
nella «ricerca ossessiva di borseggiatrici» e che se i rom non
accumulavano coi furti «soldi sufficienti» da spartire, i due
procedevano «all’arresto». Oppure li accompagnavano «in Questura, –
scriveva il gip – dove in cambio della libertà, il Cosimo richiede
ancora denaro», in un’occasione addirittura «5mila euro», «che può
essere portato, direttamente negli uffici della Questura, da altre
nomadi», come una sorta di «cauzione».
Non è la prima volta che
l’operato della polizia alla stazione di Milano si tinge del nero dei
misfatti di malapolizia: il 6 settembre 2008 l’agente Emiliano D’Aguanno
uccise Giuseppe Turrisi, 58 anni, senza dimora, negli uffici della
polizia ferroviaria della stazione. La storia è tra i casi citati da
Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa. D’Aguanno e il collega
Domenico Romitaggio portarono Turrisi negli uffici Polfer
per un banale
“battibecco” tra lui e i due poliziotti. Il pm che condusse le indagini
spiegò che Turrisi rimase per 35 minuti “in balia dei due“. Turrisi
entrò con i suoi piedi ed uscì in barella e poi con l’ambulanza. Un
“pestaggio debordante e selvaggio” sarà definito dai magistrati, i calci
con gli anfibi provocarono la rottura della milza ed emorragie interne.
Seguì il rituale delle menzogne. “Se non fosse stata disposta
l’autopsia dal pm di turno, non saremo qui a processo – scrisse il pm –
perché nell’annotazione redatta dai due agenti su quella sera, si dava
notizia solo di un barbone che si era sentito male e poi era morto”.
In
primo grado la Corte d’Assise aveva condannato il solo D’Aguanno a 10
anni, contestando a Romitaggio la sola falsificazione dei verbali. In
appello, invece, i giudici decisero che entrambi ebbero un ruolo nel
pestaggio di quella notte e che non c’era spazio per nessuna attenuante.
Così furono condannati a 12 anni. Infine la Cassazione confermò la
colpevolezza e i capi d’imputazione, diminuì solo la pena, a 11 anni e 4
mesi. D’Aguanno, 35 anni, è stato arrestato a ottobre del 2016 dalla
squadra mobile di Milano – insieme all’Interpol – a Bogotà, in Colombia,
dove era fuggito dopo la condanna.
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