La protagonista della vicenda è una 37enne originaria del Darfur che
s’è vista rifiutare l’accoglienza sul territorio della Gran Bretagna
nonostante vantasse, dall’Italia, il riconoscimento di status di
rifugiato. Ma quando i giudici le hanno imposto il ritorno nel nostro
Paese, la donna si è opposta denunciando di aver subito violenze e
abbandono in Italia e di non aver mai avuto tutela da parte delle forze
dell’ordine.
Le rimostranze della 37enne, però, non hanno commosso i giudici che
le hanno notificato il provvedimento di espulsione dal Regno Unito. La
donna, come racconta il Daily Express,era
partita dal Darfur ed era sbarcata a Lampedusa insieme alle centinaia
di disperati affidati dai trafficanti di uomini alle carrette del mare,
nel 2011. Due anni dopo, nel 2013, la donna si ritrova senza un alloggio
dopo la chiusura del centro di accoglienza in cui era ospitata. Per
quindici giorni, ha raccontato alle autorità britanniche, s’è ritrovata a
chiedere l’elemosina sul marciapiede. Un periodo – secondo il racconto
della sudanese – nerissimo dato che proprio in quelle settimane sarebbe
stata violentata più volte e nessuna autorità italiana le avrebbe voluto
prestare alcun tipo di aiuto. Grazie al sostegno di alcuni
connazionali, sarebbe riuscita a raggiungere la Giungla di Calais da
dove, nascosta in un tir, ha raggiunto l’Inghilterra. Lasciandosi
l’Italia alle spalle, che nel frattempo aveva accolto la sua domanda di
asilo e le aveva garantito lo status e la protezione internazionale per i
rifugiati.
I giudici britannici, però, non si sono lasciati convincere. E hanno
disposto il suo rientro in Italia sotto sorveglianza medica, perché
ritenuta a rischio suicidio. La corte ha ritenuto infatti che la donna
“odia l’Italia e preferirebbe morire o tornarsene in Darfur piuttosto
che rientrare lì”.
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